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  • Maria Elena Tanca
  • Nata a Sassari nel 1981, è giornalista professionista dal 2010.
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14 dicembre 2012 5 14 /12 /dicembre /2012 17:32

Evelyn Rivera ha 24 anni e vive in Florida. Si è trasferita negli Stati Uniti dalla Colombia quando aveva appena tre anni. Dopo il diploma ha iniziato a lavorare: vuole metter da parte i soldi per andare al college. È uno degli oltre 60.000 giovani che in Florida hanno fatto domanda per il DACA, Deferred Action for Childhood Arrivals. Il programma è stato avviato dall’amministrazione Obama il 15 agosto del 2012. E consente a chi è arrivato senza documenti negli Stati Uniti prima dei 16 anni di restare nel Paese per altri 24 mesi, legalmente. “Il DACA mi ha ridato fiducia e la speranza di non essere rimandata in Colombia. Penso soprattutto alla mia famiglia: ora non dovranno più preoccuparsi per me”, dice Evelyn. Il programma, è una sorta di tregua, che dà ai sans papiers un po’ di tranquillità. Ma non permette di ottenere la residenza permanente o la cittadinanza. Oltretutto, se lo status conquistato con il DACA non viene rinnovato, si torna punto e a capo.

Evelyn è anche un’attivista di United We Dream, un’organizzazione nata per aiutare quelli che, come lei, sognano di restare negli Stati Uniti, luogo in cui sono cresciuti. United We Dream è la più vasta rete di giovani immigrati nel Paese. Un movimento vasto e sempre più pressante, che può contare su oltre 600 leader. L’organizzazione  è nata nel 2009, quando alcuni gruppi locali decisero di unirsi per dar vita  a una rete nazionale. I vertici del movimento capirono che incoraggiare i giovani a raccontare le storie delle loro vite clandestine e gli ostacoli alle proprie aspirazioni sarebbe stato liberatorio.

Le origini del gruppo si intrecciarono presto con quelle del Federal Dream Act, altro importante tassello della legislazione statunitense sull’immigrazione. Un progetto molto diverso dal DACA, che è temporaneo e non costruisce un percorso verso la residenza permanente o la cittadinanza. Il Dream Act fu presentato per la prima volta al Congresso nel lontano 2001: se passasse, consentirebbe ad alcuni immigrati arrivati prima dei 16 anni e cresciuti negli Stati Uniti di ottenere la residenza permanente o diventare cittadini. A patto, però, che frequentino il college o l’università o prestino servizio nell’esercito. Per ora il Dream Act non è stato approvato dal Congresso. Nel 2011, dopo diverse bocciature, i Democratici lo hanno reintrodotto sia alla Camera, sia al Senato. La prima lo ha approvato, ma al Senato i Repubblicani hanno fatto opposizione.

Con la rielezione di Barack Obama alla Casa Bianca, i Dreamers tornano a sognare e puntano perfino più in alto. “United We Dream sta cercando di andare oltre l’obiettivo iniziale. Ora combatte per una piattaforma politica più ampia: vuole includere tra coloro che beneficeranno della riforma anche le famiglie dei giovani immigrati”, racconta a The Post Internazionale Kristin Ford, responsabile media di United We Dream. Lo scopo è costruire un percorso che conduca tutti gli 11 milioni di sans papiers alla cittadinanza. “Ci teniamo a tenere unite le famiglie e a evitare che i parenti dei ragazzi siano mandati indietro - continua Kristin -. Vogliamo porre fine agli abusi di potere e alle deportazioni senza senso, ma anche garantire condizioni di lavoro più eque per tutti gli immigrati”.

Il problema dei documenti è legato anche all’accesso ai college o alle università, più difficile per chi si trova negli Usa illegalmente. “La Suprema Corte degli Stati Uniti ha deciso che l’istruzione debba essere garantita a tutti, dall’asilo fino alle superiori. Per questo le scuole devono accettare chiunque e non controllano i documenti”, spiega Kristin a The Post Internazionale. Quando si parla di college o università il discorso cambia. Ogni stato ha università pubbliche che, per i residenti in quel territorio, costano meno. Chi proviene da altri stati, invece, paga tasse più elevate. “Gli immigrati che non possiedono i documenti non risultano residenti e quindi sono costretti a pagare tasse per molti proibitive. Inoltre -, aggiunge Kristin, - la maggior parte degli stati fornisce aiuti economici solo ai residenti. Sono molto pochi quelli che offrono assistenza agli immigrati senza documenti. Il governo federale prevede un sistema di aiuti per il pagamento delle rette universitarie ma, anche in questo caso, gli immigrati senza documenti non hanno i requisiti per accedervi”, dice Kristin.

L’accesso all’istruzione superiore è uno dei motivi per cui i Dream Warriors sono più determinati che mai. Ormai formano una vera e propria lobby, che rivendica il suo posto nella società americana. Le campagne porta a porta fatte da questi giovani immigrati, che non possono votare, hanno mobilitato i Latinos. Loro quel diritto ce l’hanno, tanto che il 71% dei voti ricevuti da Obama proviene proprio da questo gruppo etnico. Il presidente non potrà non tenerne conto nella sua agenda. I leader di United We Dream sono certi che i risultati delle presidenziali, nelle quali Romney ha ottenuto solo il 27 per cento dei voti dei Latinos, abbiano conferito loro maggiore influenza su entrambi i partiti. La comunità dei giovani immigrati è in crescita e c’è da scommettere che, se i Repubblicani vorranno tornare alla Casa Bianca, non potranno ignorare i guerrieri del sogno americano. 

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