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  • Maria Elena Tanca
  • Nata a Sassari nel 1981, è giornalista professionista dal 2010.
  • Nata a Sassari nel 1981, è giornalista professionista dal 2010.

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19 giugno 2012 2 19 /06 /giugno /2012 13:51

Sviluppo sostenibile e austerità. Se ne è parlato a Sassari durante un convegno organizzato per il novantesimo anniversario della nascita di Enrico Berlinguer. Aperto dall’intervento di Nicola Sanna, presidente dell’associazione “Luigi Polano”, l’incontro è stato moderato dal giornalista Vindice Lecis. Al dibattito hanno preso parte lo scrittore Salvatore Mannuzzu, il consigliere regionale Luigi Lotto, l’ex deputato Mario Birardi e Ugo Sposetti, parlamentare del Pd.

Già negli anni della solidarietà nazionale, Berlinguer introduce due concetti chiave: austerità e sviluppo sostenibile. Idee che, con l’attuale modello di crescita entrato in una fase di recessione, appaiono ancora attuali. Già allora Berlinguer intuisce che i costi della crisi, del non-lavoro e della decadenza saranno pagati da chi sta peggio. L’unica soluzione è, per lo storico leader del Pci, puntare sulla conversione radicale dell’intero sistema.

Nel gennaio del 1977 Berlinguer indica la via da seguire. Lo fa con due celebri discorsi, tenuti a distanza di pochi giorni: a Roma, al teatro Eliseo, e a Milano, al teatro Lirico. Due interventi di grande importanza. “Per noi l’austerità – dice Berlinguer – è il mezzo per contrastare alle radici e porre le basi del superamento di un sistema che è entrato in una crisi strutturale e di fondo, non congiunturale, di quel sistema i cui caratteri distintivi sono lo spreco e lo sperpero, l’esaltazione di particolarismi e dell’individualismo più sfrenati, del consumismo più dissennato”.

Per Berlinguer l’austerità è rigore, efficienza, serietà e giustizia. E’ “il contrario di tutto ciò che abbiamo conosciuto e pagato finora e che ci ha portato a una crisi gravissima, i cui guasti si accumulano da anni e che oggi si manifesta in Italia in tutta la sua drammatica portata”. L’austerità è lotta “contro il dato esistente, contro l’andamento spontaneo delle cose”. E’ una necessità, una premessa per avviare il cambiamento dell’Italia di allora. Ed è una scelta che porta con sé un avanzato e concreto contenuto di classe, “uno dei modi attraverso cui il movimento operaio si fa portatore di un modo diverso del vivere sociale”.

Nicola Sanna, presidente dell’associazione “Luigi Polano”, conosce Berlinguer nel 1981. In quell’anno, da studente di appena diciotto anni, deve pronunciare un discorso in piazza Università. Su quello stesso palco, poco dopo, parlerà Enrico Berlinguer. Nel ricordarlo, Sanna ha voluto ribadire uno dei concetti fondamentali espressi dal leader Pci, una frase di bruciante attualità: “Quando si chiedono sacrifici alla gente che lavora, ci vuole un grande consenso, una grande credibilità politica e la capacità di colpire esosi e intollerabili privilegi”. Un pensiero quanto mai attuale nello scenario italiano contemporaneo. “Parole che non è stato possibile sentire da altre personalità politiche italiane a quasi 30 anni dalla sua scomparsa”, ha detto Sanna.

L’austerità berlingueriana è progressista e innovativa, vi si ritrovano elementi insiti nel moderno termine “sostenibilità”. “Ma la parola austerità, nei momenti di crisi del capitalismo occidentale, ha avuto ed ha tutt’ora una declinazione politica di destra – ha osservato Sanna – conservatrice del sistema economico dato, che in Europa fu già interpretata dalla Lady di ferro, Margaret Thatcher, e oggi da un’altra donna, espressione sempre della destra europea, Angela Merkel”.

La parola austerità usata dal leader del Pci, invece, ha una portata rivoluzionaria. Viene pronunciata all’inizio del 1977, prima della nascita in Italia del movimento ambientalista e molto prima che si cominci a parlare di critica del modello di crescita e di sviluppo. E fa discutere che a usarla sia proprio il leader del Pci, in un momento travagliato della storia repubblicana. Per la prima volta il concetto di austerità viene declinato nella sua accezione rivoluzionaria, come occasione per la trasformazione della società capitalistica. E’ l’inverno del 1977 e bisogna porre un freno all’inflazione. Al governo c’è Andreotti, sostenuto dalla non sfiducia o astensione dei comunisti, reduci da un successo elettorale mai visto prima. E’ stata appena varata una dura manovra finanziaria, che a quei tempi prende il nome di “stangata”: prevede l’abolizione delle festività, l’aumento del tasso di sconto, della benzina, della luce, delle sigarette, dei saponi, dei fertilizzanti, delle tariffe postali, dei biglietti dei treni, delle assicurazioni delle auto.

Se si presta attenzione ai discorsi di Berlinguer ci si rende conto, però, che la parola più usata non è austerità, bensì spreco. Il consumo che produce spreco è, secondo Berlinguer, il miglior alleato dell’ingiustizia. “Il consumismo è di massa – ha spiegato lo scrittore Salvatore Mannuzzu – come una malattia che non risparmia nessuno. Ha contagiato anche i più miseri. La caduta dei consumi, qui da noi, è un dato negativo per l’economia. L’umanità ha necessità complessivamente di consumare di più. Ma bisogna cambiare il modo di consumare, dire no ai bisogni immaginari (come li chiamava Marx)”.

Già in quegli anni Berlinguer parla di sostenibilità: è necessario soddisfare i bisogni delle attuali generazioni, senza però compromettere il futuro di quelle a venire. “Ci fu anche nel popolo comunista la paura di dover rinunciare a qualcosa. Furono pochi a capire che, se non si cambiava il modello di sviluppo, i bisogni veri sarebbero restati insoddisfatti”, ha spiegato Mannuzzu. Secondo lo scrittore l’impasse contemporanea è anche e soprattutto politica. I cittadini, che dovrebbero essere i portatori del cambiamento, non mostrano voglia di partecipazione: sono “anestetizzati, spompati, depoliticizzati”. “Il disastro economico ed ecologico che ci minaccia può essere preso in mano solo dall’homo sapiens – ha detto Mannuzzu -. Berlinguer non poteva fare i conti con questa disperazione, ma l’idea di austerità che lui ci consegna è un’indicazione, è l’unico possibile cammino, perché disegna un’austerità con una forte accezione soggettiva, culturale”.

Ma il termine austerità, non è una parola improvvisata o spontanea. Come ha spiegato Mario Birardi, il concetto viene elaborato ben prima dei due famosi discorsi. Non nasce al convegno dell’Eliseo, ma è il risultato di un  lavoro e di una riflessione portati avanti di riunione in riunione. La proposta dell’austerità solleva in quegli anni una grande questione sociale, economica, politica e anche morale, ancora oggi presente. “Sono in molti a chiedersi se Berlinguer parli all’Italia di oggi: alcuni parlano di attualità, altri di inattualità”, ha detto Birardi. Di sicuro, delle considerazioni di allora, resta il concetto di sostenibilità dello sviluppo, implicito nella concezione berlingueriana di austerità.

Da Il Post Viola

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18 giugno 2012 1 18 /06 /giugno /2012 15:39

Johnny Depp, Brad Pitt, Adrien Brody. E poi Justin Timberlake, David Beckham e Bob Dylan. Per loro indossare un cappello in estate è la norma. Ma non uno qualsiasi: la moda quest’anno impone l’uso del cappello di paglia. Scegliere un modello appropriato richiede tempo: lo stile e le proporzioni devono essere adeguati alla forma della testa e del viso ed essere complementari ad altezza e corporatura.

Ne esistono di diversi prezzi: il costo varia a seconda del materiale usato e del lavoro artigianale che c’è dietro. Di paglia intrecciata, parabuntal, toyo, rafia, sisal o Carludovica palmata: c’è solo l’imbarazzo della scelta. Quest’ultimo materiale, noto anche come toquilla, è una paglia elastica e lucente che si ricava dalle foglie di una palma nana, la Carludovica palmata, appunto. La toquilla è il materiale usato per i famosi cappelli panama, che in realtà provengono dall’Ecuador. Portano il nome di Panamà solo perché la città è stata per secoli il loro principale scalo commerciale. Il nome del centro è rimasto legato indissolubilmente a quello del cappello anche per via di un famoso evento storico: il presidente degli Stati Uniti, Theodore Roosevelt, ne indossò infatti uno durante l’inaugurazione del Canale di Panama, nel 1906. Le foto dell’evento fecero il giro del mondo, aumentando la notorietà del cappello. Essendo realizzati con tessuti naturali, i cappelli di paglia possono presentare lievi imperfezioni. Anche queste contribuiscono a renderli particolari e unici.

Per trovare la giusta taglia è necessario prendere le misure a partire da poco più di un centimetro sopra il sopracciglio. Gli esperti, infatti, non si basano su taglie come S, M, L e XL, tipiche dei modelli più economici. L’unità di misura più semplice per orientarsi è il centimetro. Una taglia europea di 60 centimetri equivale a una misura 7⅜ in UK e a una 7½ negli Stati Uniti.

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15 giugno 2012 5 15 /06 /giugno /2012 02:14

Negli ultimi dieci anni i media che si occupano di moda sono cambiati. La prova tangibile di quest’evoluzione è il premio consegnato la scorsa settimana dal Council of Fashion Designers of America ai blogger Scott Schuman e Garance Dore. “Sei anni fa, quando ho aperto il mio blog, non era preso molto sul serio”, ha detto Garance ricevendo il premio. 

Da allora le cose sono cambiate rapidamente: “La moda e i media si evolvono ogni secondo a causa della tecnologia”, ha detto il presidente del CFDA, Steven Kolb. Sono passati i giorni in cui la carta stampata la faceva da padrona. Ora le notizie passano attraverso Twitter, mentre i blog e i siti web sono diventati autentiche fonti d’informazione. Tutti miglioramenti che hanno enormi implicazioni nel lavoro di chi si occupa di moda. Oggi un redattore non è più solo un redattore, ma deve anche essere un blogger, saper usare Twitter, Instagram ed essere una personalità.

 

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9 giugno 2012 6 09 /06 /giugno /2012 02:54

Pagare o non pagare? Questo è il dilemma. I marchi di moda si servono sempre di più dei fashion blogger, ma la collaborazione inizia a farsi costosa. Così, gli stilisti iniziano a porsi dubbi, a farsi domande. Sostengono che, in termini di ritorno sugli investimenti, una rivista o una pubblicità alla tivù siano più efficaci e sollevano dubbi sui compensi richiesti da alcuni blogger. Fanno, inoltre, un’altra considerazione: i giornalisti non sono pagati per parlare dei prodotti di un’azienda. Ergo, i blogger di moda non sono giornalisti. Non avendo questa qualifica, non esiste alcun obbligo di pagarli.

Dal canto loro, i blogger rispondono che le tariffe richieste sono eque perché la loro attività può permettere di ottenere fino a un milione di pagine viste in un mese, sia sui loro siti, sia sui siti del brand. Questo significa che, in termini di ritorno sugli investimenti, sono efficaci. Alcuni blogger sono anche giornalisti, ma la maggior parte di loro non si considera tale perché esprime opinioni su ciò che vede: più editorialisti, dunque, che cronisti.

La tensione tra le aziende di moda e i blogger è una conseguenza dell’evoluzione del mondo del Web. Nel momento in cui i brand aumentano il loro coinvolgimento con i blogger in termini di copertura e progetti, la linea tra ciò per cui dovrebbero essere pagati e ciò per cui non dovrebbero diventa sempre più indistinta. Per una cifra compresa tra i 20.000 e i 25.000 dollari, un’azienda può ingaggiare un blogger per svariati progetti nel corso della settimana della moda.

Nel 2010, Bryan Grey Yambao, penna del blog Bryanboy, ha guadagnato più di 100.000 dollari all’anno dalla sua attività. Neiman Marcus, catena di grande distribuzione specializzata in prodotti di lusso, misura l’efficacia di una campagna monitorando le pagine viste, i visitatori unici, le impressioni, il traffico, ma anche i “likes”, i commenti, i retweet, le condivisioni, le risposte, le citazioni del marchio e l’aumento dei link in entrata e in uscita.

Il blog di Aimee Song, “Song of Style”, che ha raggiunto nel mese di aprile i due milioni di pagine viste, ha lavorato per marchi come Seven For All Mankind, True Religion, Fossil, Levi’s, Smart Car e Macy’s . Tutti lavori retribuiti. “Benché i blogger non siano celebrità, molti di noi hanno un buon pubblico e, talvolta, grazie ai social media, possiamo raggiungere perfino un pubblico più vasto”, ha spiegato Song al magazine Women’s Wear Daily. Un suo articolo collegato a un post su Instagram, dove ha oltre 100.000 follower, può far vendere in un solo giorno un abito fino a esaurimento. “Prima, quando ero molto ingenua e agli inizi, avrei collaborato con i marchi di moda gratis”, ha detto al magazine Women’s Wear Daily. Ora è in viaggio per il Paese con Macy’s per seguire la collezione Bar III e ha raccontato che i compensi variano da un paio di migliaia per stare tutto il giorno nel negozio, twittando e caricando immagini su Instagram, fino a 50.000 dollari per una collaborazione con un marchio, di cui non ha voluto rivelare il nome.

Coach, azienda in prima linea nella collaborazione con i blogger, nel 2009 è stato uno dei primi ad assumere blogger come Hanneli Mustaparta, Leandra Medine, Emily Weiss e Kelly Framel per progettare, disegnare, bloggare e perfino apparire nelle sue campagne pubblicitarie. Secondo David Duplantis, vicepresidente esecutivo dei media digitali e online, la relazione tra marchio e blogger è simbiotica. Perciò, se il marchio trae benefici raggiungendo il pubblico del blogger in aggiunta al proprio, il blogger, a sua volta, beneficia del prestigio che trae dal lavorare con un marchio forte e autorevole come Coach. “Non consideriamo la collaborazione con il nostro blogger come pubblicità. Per noi, è importante la creazione di contenuti e l’opportunità di lavorare con una comunità vibrante e creativa”, ha aggiunto Duplantis. Più di recente Coach, si è messa alla ricerca di nuovi talenti e ha iniziato a lavorarci, presentandoli al suo pubblico al posto di blogger già affermati. Al tempo stesso, però, ha mantenuto anche le collaborazioni con i più seguiti influencer digitali. 

Con l’aumentare delle parternship con i blogger, questi hanno portato alla luce un tema ricorrente: l’integrità giornalistica dei blogger. Da un lato, i blogger vorrebbero essere considerati come giornalisti, ma stringendo alleanze con i marchi leader e i designer creano quel che qualcuno chiamerebbe conflitto di interessi. I blogger sostengono di non essere giornalisti nel senso tradizionale del termine: ritengono che stia nascendo una nuova forma di giornalismo, ibrida e che si sviluppa velocemente. “Per mantenere la mia integrità non scambierei un prodotto con i post sul blog, ma se qualcuno mi spedisce qualcosa, non lo rimando indietro”, ha detto Medine di Man Repeller, che raggiunge circa due milioni di pagine viste al mese. “So di non essere un redattore del Wall Street Journal e va bene. Non devo avere un punto di vista imparziale. Il bloggare riguarda la soggettività”. “Ultimamente, tutti in questo mondo cercano di fare soldi, e non vedo perché i blogger dovrebbero essere rimproverati per aver cercato di trasformare i loro hobby in un business”, ha continuato.  

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5 giugno 2012 2 05 /06 /giugno /2012 10:12

Quest’anno le regine della moda sono le gemelle Olsen. Ieri, nell’Alice Tully Hall del Lincoln Center di New York, Mary Kate ed Ashley hanno ricevuto il premio come stiliste femminili dell’anno dal Council of Fashion Designers of America. The Row, questo il nome della collezione lanciata dalle ex stelline della tivù per ragazzi, ha ricevuto così la consacrazione dal gotha della moda statunitense. L’attrice Jessica Chastain, vestita con un abito bianco di Prabal Gurung, ha incoronato le 25enni davanti a una platea di stelle della moda e di Hollywood. “Voglio ringraziarti”, ha detto Mary Kate alla gemella, mentre accettava il premio. 

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Ma le gemelline non sono state le uniche ad essere insignite con prestigiosi riconoscimenti, benché il loro possa essere considerato il più importante. Reed Krakoff ha ricevuto il premio come miglior designer di accessori. A consegnarglielo c’era la sexy attrice di Mad Men, Jessica Paré, fasciata in un tubino nero e fucsia con ricami in pizzo, firmato Jason Wu. Quando le è stato chiesto di confrontare il suo stile con quello di Megan (personaggio che l’attrice interpreta nella serie, ndr), Paré ha risposto: ”E’ molto diverso. Io preferisco tonalità scure, mentre penso che Megan indossi molti colori vivaci”.

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Matt Bomer, protagonista della serie White Collar, ha invece premiato Billy Reid, nominato miglior stilista maschile.

Tra gli assenti bisogna ricordare Johnny Depp, che ha ottenuto il premio come icona fashion dell’anno. L’attore si trovava sul set del film “The Lone Ranger”, perciò la statuetta è stata ritirata per lui dal regista di Cry-Baby, John Waters. Di fronte a un collage delle mise sfoggiate dall’attore nel corso degli anni, Waters ha detto: “Quest’uomo, per quanto ci provi, non riesce a sembrare brutto”. Johnny Depp è in buona compagnia: in passato il premio è stato vinto da Cher, Elizabeth Taylor, Lady Gaga e Audrey Hepburn. “C’è qualcosa di autentico in Johnny e lo puoi vedere dai suoi occhi. E’ bello e malizioso”, ha dichiarato la presidentessa del CFDA, Diane von Furstenberg.

Waters ha inoltre accettato il premio internazionale al posto della stilista Rei Kawakubo, che ha vinto per gli abiti creati con la sua casa di moda, Comme des Garcons. Il regista ha fatto le veci di Kawakubo in quanto suo amico, oltre che ammiratore delle sue creazioni. “Alcune persone potrebbero descrivere i suoi vestiti come un disastro in tintoria”, ha scherzato Waters, elencando il mucchio di istruzioni per il lavaggio presenti sulle etichette dei capi disegnati dalla stilista giapponese.

Il Council of Fashion Designers of America ha assegnato, inoltre, una serie di premi sponsorizzati da Swaroski e dedicati ai talenti emergenti. Per la categoria moda femminile, ha vinto Joseph Altuzarra. Phillip Lim ha ricevuto l’award per la moda maschile e Tabitha Simmons quello per gli accessori.

Il momento più divertente della serata è stato quando il conduttore, Set Meyers, si è preso gioco di Marc Jacobs e dell’abito in pizzo indossato sui pantaloncini in occasione del gala di moda al Met. Meyers ha definito la mise di Jacobs “ventilata”. I protagonisti del mondo della moda non sono noti per il senso dell’umorismo e questo ha reso ancor più comico il momento. Altro episodio curioso è stato lo scambio di battute tra la direttrice di Vogue, Anna Wintour e Tommy Hilfiger. Presentando lo stilista, Wintour ha detto che sa essere molto spiritoso, soprattutto quando imita personaggi famosi come Karl Lagerfeld, Donna Karan o Mick Jagger. “Sino a che non imiterai me, andrà tutto bene”, ha scherzato.

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Ricca la passerella degli ospiti. L’attrice Kate Bosworth indossava un abito Joseph Altuzarra, decorato con una fantasia arancione e oro, mentre l’angelo di Victoria’s Secret Candice Swanepoel si è presentata sul red carpet con un Valentino di pizzo color blu pallido.

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Dakota Fanning ha fatto il suo ingresso con indosso un vestito corto di Proenza Schouler, dalle fantasie e dal taglio orientali. Zoe Saldana era molto elegante nel suo Prabal Gurung nero e trasparente, che lasciava intravedere le lunghe gambe.

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Anna Wintour indossava un abito a fiori di Marc Jacobs. L’attrice Sophia Bush, invece, era fasciata da un vestito color arancione di David Meister, con uno spacco vertiginoso e uno scollo a V sul seno.

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2 giugno 2012 6 02 /06 /giugno /2012 22:00

DSC_0554.JPGNel giorno in cui il Papa viene accolto da una folla entusiasta a Milano, un altro Papa, o forse un nuovo Messia, arringa una folla adorante e urlante ad Alghero. In piazza della Mercede, accanto all’omonima chiesa, Beppe Grillo presenta i grillini candidati alle elezioni municipali che si terranno in 64 Comuni sardi il 10 e l’11 giugno. In testa c’è la trentaseienne Giorgia Di Stefano, che corre per la poltrona di sindaco nel Comune della riviera del Corallo. Quella algherese è la prima tappa di Grillo e del movimento 5 Stelle. Domani sera si replicherà a Quartucciu, alle porte di Cagliari.

Fin dall’inizio il comico non le manda a dire. Non curante del fatto che il palco sia stato allestito accanto a una chiesa, rompe il ghiaccio con alcune battute sul Papa: “In una mezza piazza era circondato da numerosi guardaspalle – scherza –, così come il vescovo di Genova, che gira con quattro bodyguard. Se Gesù al posto dei 12 apostoli avesse avuto 12 bodyguard non lo avrebbero crocifisso e oggi non avremmo l’8 per mille”.

Il suo monologo, per quanto apprezzato dal pubblico che ride e applaude, è interrotto poco dopo da don Tonino Manca. Il parroco sale sul palco e tra i due inizia un botta e risposta degno del miglior film di Peppone e don Camillo. Il sacerdote non ha sentito le frasi sul Papa, ma è infastidito dalla musica e dalla voce del comico, che disturbano la messa e i fedeli. “Ti conosco da un sacco di tempo. Continua a fare il cabaret, però tu parli di libertà, ma non la rispetti perché qui c’è un popolo di Dio e ci avete disturbato per mezz’ora”. I grillini non sembrano gradire e iniziano a fischiarlo, chiedendogli a gran voce di andarsene. “Io non sono contro di te. Io ti conosco. Ti ricordi il Rock Cafè?”, continua don Manca. “Sì, sì. Lui spacciava”, gli risponde Grillo tra le risate generali.

Chiuso il siparietto con il parroco che se ne va tra i fischi, augurando all'Italia di farcela "nonostante Grillo", continua il one man show del comico, tra attacchi alla casta, alla stampa e a Pdl e Pd. “Tutti vogliono imitarci, stanno nascendo decine di liste, qui ad Alghero ne ho visto 25. Mi spaventa che inizino a parlare bene di me. Lo ha fatto anche Cicchitto, questa è la mia maledizione”. E sui giornalisti dice: “Perché pubblicano solo foto orrende di me? Non so più cosa sono, se un ex comico o un politico, ma loro mi hanno preso sul serio”.

Finalmente Grillo lascia la parola ai candidati in corsa per il consiglio comunale: “Alle mie spalle c’è la vera novità – spiega -. Il movimento 5 Stelle è un’idea di democrazia dal basso. Vogliamo far entrare un paio di ragazzi. Ognuno di loro si è messo in gioco. Ognuno di noi deve rischiare qualcosa”. Dopo l’elezione di un consigliere comunale a Sennori e un’altra sfiorata a Cagliari nel 2011 con Emanuela Corda, ora si guarda con fiducia ad Alghero e Quartucciu, soli due Comuni dov’è presente una lista targata 5 Stelle. Grillo spera di  bissare il successo riscosso a Parma, dove ha vinto il grillino Federico Pizzarotti, che si è imposto con il 60,2% dei voti.

DSC_0562.JPGNella serata non può mancare un appello ai sardi, affinché si liberino dai colonizzatori: “In Sardegna potreste vivere di cose meravigliose: avete cultura, turismo, sole e vento – spiega Grillo -. Dobbiamo solo cominciare a dire che quest’isola può essere autosufficiente in tutto. Trovatevi un Gandhi, anche un malato, ma che vi liberi. Poca gente vi sta rovinando la qualità della vita”. E continua: “Sapete perché siete straordinari? Perché nel dna avete un po’ dei genovesi, un po’ dei Doria che poi vi hanno svenduto agli aragonesi. Il debito l’abbiamo inventato noi. Il vostro sindaco ha solo comprato hedge fund, senza sapere neppure cosa sono e vi ha indebitato. Qui ad Alghero vogliono rovinare questa bellissima città costruendo alberghi e resort. Non c’è un Puc dal 1983, noi lo faremo”.

Poi una precisazione sul movimento 5 Stelle: “I sondaggi dicono cose non vere. Noi non siamo il secondo partito in Italia. E’ una calunnia, una menzogna. Noi siamo il primo movimento di cittadini. Facciamo un sondaggino qua? – domanda il comico – Se vi chiedessero chi di voi voterebbe Pdl o Pd?”. Si solleva un coro di “buu” e fischi, la risposta più eloquente possibile. “O fate un salto nel buio con noi o un suicidio assistito con questi qua”.

Riflessioni. Il popolo di Grillo applaude, forse non sa nemmeno il perché, certo è che è stufo marcio. E’ un popolo che vuole rompere con il passato, ma anche un gregge di parvenu che poco o nulla sanno della politica e di come si amministra un Comune.  Un salto nel buio può essere la soluzione? O rischia di affossare ancor di più un’Italia già pericolosamente in bilico sull’orlo di un precipizio? Di sicuro, alcune scene a cui ho assistito questa sera non mi fanno ben sperare. Più che un comizio quello di Grillo è stato un incrocio tra un concerto e una messa, una sorta di ibrido tra una Woodstock in salsa catalana e una domenica in piazza San Pietro. DSC 0567Un evento in cui la folla ha fatto a pugni per parlare con il suo beniamino, scattargli una foto col cellulare o parlargli dei suoi problemi e chiedere una “grazia”. Un fiume di gente ha accompagnato il comico dal palco fino alla macchina. La marea si spostava insieme a lui, cercando anche solo di toccargli la mano o quella cofana di capelli che si ritrova in testa. E, soprattutto, cercando di scambiarci due parole. Grillo ha aperto le acque come un novello Mosè ed è riuscito a farsi strada. Nel frattempo, tutti spingevano tutti: un po’ per vedere da vicino il Salvatore che li libererà, un po’ perché ricordano e apprezzano il Grillo comico, un po’ perché hanno un parente o un amico da “piazzare”. E “piazzare” dove? Magari proprio nel movimento 5 Stelle, ché altrove non sono riusciti a trovargli una collocazione. In fondo, anche quello di Grillo, è un popolo che vuole mangiare: via il vecchio e avanti con il nuovo, dicono, ma sempre di convitati al  grande banchetto della politica si tratta. E la fame, da quello che ho visto, ad Alghero è tanta. Se sapranno far bene, solo il tempo lo dirà. Certo è che, dal vaffanculo collettivo delle origini a oggi, di acqua sotto i ponti ne è passata e il Movimento non sembra tanto un gruppo di  cittadini arcistufi di tutto, quanto un grande ufficio di collocamento. Checché ne dica Grillo, un film già visto.

P. S. Lo staff ha tenuto lontano i giornalisti, che a stento sono riusciti a fare una domanda al comico. In compenso i poveretti si sono presi un sacco di gomitate dalla fiumana di gente adorante. Un collega mi ha fatto notare che un simile rifiuto nei confronti della stampa l'aveva visto solo ai comizi della Lega.

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19 maggio 2012 6 19 /05 /maggio /2012 21:36

Il giorno dopo il debutto in borsa di Facebook, il mondo della moda si interroga su quale sarà l’impatto dell’IPO (Offerta Pubblica Iniziale) sull’industria dell’abbigliamento. A parte cercare di ottenere il maggior numero di “mi piace” sulle loro pagine Facebook, i marchi di moda non hanno ancora ben capito come il social network possa essere impiegato al meglio. Con l’IPO, secondo il magazine online Women’s Wear Daily, qualcosa cambierà.

Innanzitutto, Facebook avrà molto più denaro da usare per sviluppare la tecnologia Open Graph. Il protocollo di comunicazione, introdotto nel 2010, permette di creare applicazioni (siano esse siti internet, applicazioni per cellulare, classiche o hardware) in grado di integrarsi con Facebook come se fossero una vera e propria pagina del social network. Ma l’azienda di Mark Zuckerberg potrebbe utilizzare la maggior disponibilità di denaro anche per cercare di aumentare la partecipazione degli utenti.

La pubblicità su Facebook potrebbe inoltre diventare una vera e propria priorità e questo comporterebbe enormi opportunità sia per il social network, sia per l’industria della moda.

Gli acquisti online, infine, potrebbero decollare fino a diventare una realtà sempre più imponente. Uno dei primi a muoversi in questa direzione è stato Nordstrom, marchio che ha iniziato a pubblicizzare i suoi prodotti su Facebook nel 2010, raggiungendo oltre un milione di “likes”. L’azienda ha di recente annunciato che esplorerà altre vie del commercio “social”. In particolare, cercherà di trovare un modo per permettere ai clienti di fare shopping online in modo pratico e conveniente.

 

 

 

 

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4 maggio 2012 5 04 /05 /maggio /2012 02:13

Vogue bandisce l’anoressia dalle sue pagine. La bibbia della moda scende in campo per difendere la salute delle modelle con la campagna “The health initiative”. I 19 direttori delle edizioni internazionali di Vogue hanno deciso di far fronte comune per migliorare le condizioni di lavoro delle modelle e promuovere un’immagine sana del corpo femminile. Le edizioni americana, francese, cinese e britannica si adegueranno alle nuove linee guida già dal numero di giugno. Quella giapponese, invece, inizierà a seguirle dal mese di luglio.

Nel manifesto dell’iniziativa, pubblicato da Vogue Italia, i direttori si impegnano a “non usare consapevolmente” modelle sotto i sedici anni. Chiedono inoltre ai responsabili dei casting di controllare la carta d’identità delle ragazze prima dei servizi fotografici e delle sfilate e incoraggiano i produttori e gli incaricati delle selezioni ad assicurarsi che le condizioni di lavoro nel dietro le quinte siano buone. Non solo. Vogue si impegna a fornire supporto nell’organizzazione di programmi di mentoring in cui le modelle più anziane faranno da guida alle più giovani. E per finire i direttori delle riviste non useranno più modelle troppo magre e dall’aspetto poco sano.

Vogue è di certo un’autorità in fatto di moda, ma è difficile pensare che riesca a influenzare un’industria che ha fatto della magrezza un’ossessione. Senza l’adesione degli stilisti sarà problematico cambiare tale tendenza. Anche per questo nel manifesto si afferma che Vogue li incoraggerà a prendere in considerazione  le conseguenze dell’uso di taglie “irrealisticamente piccole”, che limitano la varietà di donne fotografate e incoraggiano l’uso di modelle magrissime. 

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24 aprile 2012 2 24 /04 /aprile /2012 22:34

thumbs thatwasthen-5Circa sette milioni di americani hanno il porto d’armi. Per queste persone il marchio d’abbigliamento Woolrich ha creato una linea di capi chic che permette di nascondere eventuali pistole. Lo racconta il New York Times nelle sue pagine di stile. Woolrich, azienda che vanta 182 anni di storia, aveva già  lanciato la nuova tendenza nel 2010, con una serie di magliette. Ora il marchio ha addirittura una linea dedicata, la “Woolrich Elite concealed carry line”, che comprende giacche, pantaloni e piumini.

Ovviamente, Woolrich non è la sola azienda che punta sulla nuova tendenza. Diversi marchi d’abbigliamento stanno seguendo l’esempio. Uno di questi è Under Armor, noto per la produzione di capi e accessori sportivi. L’azienda ha creato una linea di indumenti realizzati con tessuti tecnologici in grado di proteggere le armi dalla ruggine causata dal sudore. “I marchi che producono magliette in grado di nascondere armi sono tanti, ma usano il normale cotone”, ha spiegato al New York Times Kevin Eskridge, senior director di Under Armor. Altro marchio che ha deciso di seguire la nuova tendenza è 5.11 Tactical, azienda specializzata in abbigliamento militare: “Abbiamo cercato di creare una collezione di indumenti che permettano al compratore di avere uno stile alla moda, ma al tempo stesso presentino caratteristiche che gli consentano di portare con sé una pistola ed estrarla rapidamente”, ha dichiarato al New York Times il vice presidente David Hagler.

Gli esperti suggeriscono che sono tanti i motivi per i quali il numero di americani con il porto d’armi potrebbe aumentare. Tra di essi figurano il cambiamento del clima politico ed economico e le sempre più permissive leggi statali. Infatti, ben 37 stati americani hanno statuti che obbligano a concedere il porto d’armi se chi lo richiede possiede tutti i requisiti previsti dalla legge. E addirittura ci sono stati che consentono il possesso di un’arma da fuoco senza il bisogno di autorizzazione. Un vero e proprio cambiamento dal 1984, quando solo otto stati avevano statuti così permissivi e quindici non consentivano di portare con sé una  pistola.

In realtà, come spiega John Lott, esperto di cultura delle armi da fuoco, la maggioranza degli stati ha per lungo tempo permesso di portarle apertamente con sé. Ma, come spiegano altri esperti, gran parte della gente non vuole far sapere che ha con sé una pistola e, soprattutto, vuole evitare domande da parte della polizia. Non tutti, però, amano i nuovi pantaloni creati da Woolrich. Per esempio Howard Walter, 61 anni, commesso al Wade’s Eastside Guns di Bellevue, Washington,  preferisce nascondere la sua Colt in un paio di resistenti pantaloni da lavoro. “Non urlano “pistola” - ha spiegato al New York  Times -. Urlano “uomo medio per la strada” .

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23 aprile 2012 1 23 /04 /aprile /2012 00:09

Mirror Mirror 1Nel 1937 Walt Disney portò sullo schermo il primo lungometraggio animato della storia del cinema: “Biancaneve e i sette nani”, un riadattamento della fiaba dei fratelli Grimm del 1812. Da allora sono passati più di settant’anni, durante i quali la storia della bella principessa dalla pelle bianca come la neve, i capelli neri come l’ebano e le labbra rosse come il sangue è stata raccontata in numerosi film e cartoni animati. Nel 2012, dopo il successo della serie televisiva “Once upon a time” (andata in onda negli Stati Uniti nel 2011) la fiaba torna sul grande schermo con “Mirror Mirror” di Tarsem Singh e “Biancaneve e il cacciatore” di Rupert Sanders.

Il primo rivisita la storia in chiave ironica e moderna. Il punto di vista della narrazione è quello della regina cattiva, interpretata da Julia Roberts. Nei panni di Biancaneve, invece, troviamo Lili Collins, figlia del cantante Phil, e in quelli del principe azzurro Armie Hammer. I sette nani in questa versione non sono più minatori, ma una banda di ladri con nomi completamente diversi da quelli con i quali sono noti (e che gli furono attribuiti da Walt Disney). La famosa mela avvelenata fa la sua comparsa solo nel finale e non causa la morte apparente di Biancaneve, che non cade nel tranello della venditrice (in realtà la regina diventata di colpo vecchia come conseguenza dell’aver fatto uso della magia nera). Inoltre, nel film c’è una misteriosa bestia, la cui vera identità sarà svelata solo alla fine, e Biancaneve non è una principessa fragile che viene salvata dal bacio del principe. E’ un’eroina coraggiosa, una sorta di Robin Hood in gonnella, che si unisce alla banda dei nani e combatte accanto al suo principe per riprendersi il regno. Il finale, in perfetto stile bollywoodiano vede Biancaneve e i suoi sudditi cantare e ballare sulle note della canzone “I believe in love”, scritta da Alan Menken. Non è un caso: il regista del film ha infatti origini indiane. Gli abiti, a dir la verità un po’ pacchiani, sono stati realizzati dalla costumista  giapponese Eiko Ishioka, morta a gennaio del 2012.

biancaneve-e-il-cacciatore-poster-kristen-stewart.jpgAltro film in uscita è “Biancaneve e il cacciatore”, prodotto da Joe Roth e Sam Mercer e diretto da Rupert Sanders. In questa pellicola le atmosfere si fanno decisamente più cupe e la regina, una splendida Charlize Teron, diventa ancora più spietata. Biancaneve, interpretata da Kristen Stewart, sarà addestrata dallo stesso cacciatore incaricato di ucciderla e diventerà una vera guerriera, pronta a lottare per il suo regno. La figura chiave di tutto il film è sicuramente quella del cacciatore, che guiderà Biancaneve verso lo scontro con la regina, uno scontro diretto come non si era mai visto in nessuna versione della fiaba.                  



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